Zeruhur |
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| Genesi di 007. Dopo aver mandato in pensionamento (non anticipato) il bravo ma del tutto inadatto Pierce Brosnam (qui pioveranno dure reazioni, mi immagino), Martin Campbell riprendere la serie a distanza di dodici anni da quel Goldeneye, per certi versi innovativo e fuori canone. Una strada che poi i registi dei tre film successivi non sono riusciti o non hanno voluto seguire. All’inizio del film Bond è un rozzo, ma capace agente dell’IM6, senza ancora la licenza doppio zero. Una volta conquistata sul campo, per la prima volta dopo anni lo vediamo investigare seriamente, seguendo tracce e inseguendo criminali con acrobazie degne di Prince of Persia. L’azione non manca in questo film, ma è ben calibrata. A un punto della storia l’investigazione lo porta a dover sfidare Le Chiffrè, banchiere dei terroristi, a una partita a poker con altri otto giocatori al prestigioso Casinò Royale, in Montenegro. Qui l’unità di azione diventa praticamente il tavolo da gioco, in una serie di partite, permettetemi l’impietoso confronto, il cui pathos raggiunge i livelli di quelli dei due Natali di Avati. Questo film parla quindi della nascita della spia che conosciamo, già avvezzo a auto sportive di lusso e martiti agitati ma non mescolati e tuttavia ancora un fascino grezzo. Bravo Daniel Craig (non gli avrei dato una lira a vederlo nelle foto promozionali) e brava soprattutto Judi Dench, che finalmente con alle spalle una solida sceneggiatura non è più la nonna papera dei film precedenti ma un capo dell’IM6 con le palle. Giannini piuttosto inconsistente a mio parere, mentre l’incantevole Eva Green dimostra di sentirsi più a suo agio tra abiti di lusso (o a Gerusalemme AD 1187) che non tra i cinefili sessuomani di Bertolucci.
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